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venerdì 7 ottobre 2011

tanto per sapere.

I motori di ricerca e i social network ci conoscono sempre meglio. Grazie alle tracce che lasciamo in rete, sanno cosa ci piace. E selezionano i risultati, scegliendo solo i più adatti a noi. Ma in questo modo la nostra visione del mondo rischia di essere distorta.
Oggi Google usa 57 indicatori – dal luogo in cui siamo al browser che stiamo usando al tipo di ricerche che abbiamo fatto in precedenza – per cercare di capire chi siamo e che genere di siti ci piacerebbe visitare. Anche quando non siamo collegati, continua a personalizzare i risultati e a mostrarci le pagine sulle quali probabilmente cliccheremo. Di solito si pensa che facendo una ricerca su Google tutti ottengano gli stessi risultati: quelli che secondo il famoso algoritmo dell’azienda, PageRank, hanno maggiore rilevanza in relazione ai termini cercati. Ma dal dicembre 2009 non è più così. Oggi vediamo i risultati che secondo PageRank sono più adatti a noi, mentre altre persone vedono cose completamente diverse. In poche parole, Google non è più uguale per tutti.
Ora che Google è personalizzato, la ricerca di “cellule staminali” probabilmente dà risultati diametralmente opposti agli scienziati che sono favorevoli alla ricerca sulle staminali e a quelli che sono contrari. Scrivendo “prove del cambiamento climatico” un ambientalista e il dirigente di una compagnia petrolifera troveranno risposte contrastanti. La maggioranza di noi crede che i motori di ricerca siano neutrali. Ma probabilmente lo pensiamo perché sono impostati in modo da assecondare le nostre idee. Lo schermo del computer rispetta sempre più i nostri interessi mentre gli analisti degli algoritmi osservano tutto quello che clicchiamo. L’annuncio di Google ha segnato il punto di svolta di una rivoluzione importante ma quasi invisibile del nostro modo di consumare le informazioni. Potremmo dire che il 4 dicembre 2009 è cominciata l’era della personalizzazione.
Secondo i piazzisti del “mercato dei comportamenti”, ogni clic è una merce e ogni movimento del nostro mouse può essere venduto, in pochi microsecondi, al miglior offerente. Come strategia di mercato, la formula dei colossi di internet è semplice: più informazioni personali sono in grado di offrire, più spazi pubblicitari possono vendere, e più probabilità ci sono che compriamo i prodotti che ci vengono mostrati. È una formula che funziona. Amazon vende miliardi di dollari di merce provando a prevedere quello che può interessare a ogni consumatore e mettendo i risultati in evidenza nel suo negozio virtuale. Più del 60 per cento dei film scaricati o dei dvd affittati su Netflix dipende dalle ipotesi che il sito fa sulle preferenze di ciascun cliente.

La personalizzazione interviene anche nella scelta dei video che guardiamo su YouTube e sui blog. Influisce sulle email che riceviamo, sui potenziali partner che incontriamo su OkCupid, e sui ristoranti che ci consiglia Yelp: la personalizzazione può stabilire non solo con chi usciamo, ma anche dove andiamo e di cosa parleremo. Gli algoritmi che gestiscono le pubblicità mirate stanno cominciando a gestire la nostra vita. Come ha spiegato Eric Schmidt, “sarà molto difficile guardare o comprare qualcosa che in un certo senso non sia stato creato su misura per noi”.
 Abbiamo sempre più “spirito di gruppo” ma pochissimo “senso della comunità”. E questo è importante perché dal senso della comunità nasce la nostra idea di uno “spazio pubblico” in cui cerchiamo di risolvere i problemi che vanno oltre i nostri interessi personali. Di solito tendiamo a reagire a una gamma di stimoli molto limitata: leggiamo per prima una notizia che riguarda il sesso, il potere, la violenza, una persona famosa, oppure che ci fa ridere. Questo è il tipo di contenuti che entra più facilmente nella bolla dei filtri. È facile cliccare su “mi piace” e aumentare la visibilità del post di un amico che ha partecipato a una maratona o di una ricetta della zuppa di cipolle.
Il codice della nuova rete è piuttosto semplice. I filtri di nuova generazione guardano le cose che ci piacciano – basandosi su quello che abbiamo fatto o che piace alle persone simili a noi – e poi estrapolano le informazioni. Sono in grado di fare previsioni, di creare e raffinare continuamente una teoria su chi siamo, cosa faremo e cosa vorremo. Insieme, filtrano un universo di informazioni specifico per ciascuno di noi, una “bolla dei filtri”, che altera il modo in cui entriamo in contatto con le idee e le informazioni. In un modo o nell’altro tutti abbiamo sempre scelto cose che ci interessano e ignorato quasi tutto il resto. Ma la bolla dei filtri introduce tre nuove dinamiche.

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